Educatori e genitori della nuova era

 

Questa settimana vorrei parlarti di una riflessione a voce alta sui ragazzi di adesso, caro Viandante.
Questi vivono immersi in due polarità molto spinte a mio avviso, da una parte riescono ad essere irriverenti, disobbedienti, irascibili, violenti, oppositivi, arroganti, ingrati. Dall’altra annoiati, improduttivi, poco partecipi, ingrati e anche geniali, sorprendenti, sensibili, empatici…

Ecco che, come educatore, rimanere fissi dentro una sola etichetta di come dovrebbe essere un carghiver può diventare non solo poco utile ma persino distruttivo.
A mio avviso è utile scoprire che non può esistere un solo modo di essere genitore o insegnate, specie in una società come quella in cui siamo immersi: liquida. sfuggente, mutevole. complessa.

Da qui, Viandante,  è nato questo contributo che vuole essere una proposta per genitori/educatori che si stanno perdendo dentro un liquido informe che è diventato questo termine: “genitorialità”, parola in continua evoluzione, mutevole, senza apparenti confini.

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Ogni adulto vede attraverso una lente specifica creata ad hoc fin da bambini, detta in modo letterario, alla Dante: 

“Ogni uno l’altrui, con il proprio metro misura”.

E questo concetto viene di gran lunga sostenuto dalla più moderna epigenetica che ci spiega come l’ambiente sia più forte dei stessi geni. 

E se questo aspetto, da una parte ci salva dalla trappola imposta dal DNA e ci solleva dalla sfortuna di avere avuto genitori con specifiche malattie, dall’altra ci inquieta, poiché l’ambiente in cui siamo cresciuti diventa una sorta di laboratorio alchemico in cui si forgerà la nostra personalità. 

Ecco che il COME siamo genitori/educatori, ricalcherà le orme di COME sono stati educatori/ genitori, i nostri procreatori terrestri. 

E ci troviamo senza accorgerci a reiterare il loro modello di genitorialità (modalità materne o paterne), fatte di desideri e fantasie genitoriali che vengono da noi ereditate come ci dimostra anche Bruce Lipton (epigentetista di fama mondiale) che ha recensito il mio libro Progetto Anima Anima Edizioni 2011.

La via d’uscita all’epigenetica risulta essere la conoscenza di come funzionino due meccanismi: amore e la paura, che funge da collante che terrà ben saldo il sistema di installo genitoriale. 

La sfida in tutto questo sarà integrare l’escluso, ossia arrivare ad amarsi e accettarsi anche quando ci accorgiamo di camminare sopra le orme dei nostri genitori. 

L’amore, la comprensione, la capacità di capire e decodificare i nostri sentimenti, affinarli, sgrezzarli, è l’altra sfida tuttavia, in essa, è racchiusa anche la soluzione. 

Interessante scoprire ciò che le neuroscienze ci raccontano riguardo alla paura: sembra da recenti ricerche, che essa non esista come emozione naturale di base, piuttosto sia indotta da qualcos’altro, come reazione. Sembra infatti si tratti di una attivazione che scaturisce in determinate situazioni. 


Prendendo un topo e un gatto che lo insegue, se il topo risulta libero di muoversi, i circuiti cerebrali che si attiveranno sul ratto non saranno affatto, come sarebbe più facile credere, di paura.
Gli scienziati hanno scoperto che si attivano piuttosto flussi di gioco, ricerca, strategia, divertimento adrenalinico, crescita.Tuttavia, se nella stessa situazione fosse liberato il gatto, ma il topo avesse le zampe legate o si trovasse in una gabbia, si attiverebbero invece i circuiti della paura, poiché al topo impotente, non sarà data la scelta del tipico processo di lotta o fuga. Avremo l’attivazione della paura. Avremo chiusura.
Tra l’altro si è potuto scoprire che la paura è contagiosa, il topo inizierà a contagiare altri topi che con lui entreranno in contatto. 

Interessante, non trovi, Viandante?

Ne va da sè che, se il nostro stile genitoriale/educativo sarà impositivo e autoritario (anziché autorevole e incentrato all’’ascolto empatico e l’intelligenza emotiva), avremo ragazzi che similmente al topo si sentiranno inermi e pieni di paura- e da qui la polarità di cui parlavo all’inizio: attaccheranno costantemente o si lasceranno passivamente vivere. 

Educare è un arte e come tale qualcuno è più portato, altri lo sono di meno. Tuttavia è possibile migliorarsi, leggendo, facendosi aiutare.

Per aiutarci Viandante, poniamo l’attenzione ad un’arma potentissima: le parole.
Le parole fungono da autentico strumento, perciò è utile comprenderne a fondo il significato: per esempio, prendiamo la parola educare, dal latino ex-ducere e ci ricorda il tirare fuori, mettere in luce, far risaltare, far venire in luce qualcosa che poco prima era nascosto.
Qui è necessario far fiorire una relazione, comprendere, creare il territorio per la fioritura.
Diversamente dal caso di istruire dal latino in-struere che indica l’atto di portare dentro materiali che prima non c’erano, ci dà l’idea di dover inserire qualcosa dentro a un contenitore (inserire nozioni nel caso della formazione).
Chiaramente s
ervono entrambe tuttavia, educare colma più bisogni.

Nella piramide dei bisogni umani realizzata nel ’54 da Maslow, troviamo infatti:

1- bisogni fisiologici

2- bisogno di sicurezza

3- bisogno di appartenenza 

4-bisogno di stima, venire riconosciuto, contribuire

5- bisogno di auto- realizzazione (realizzare la propria individualità a pieno)

Risulta chiaro che l’educatore/genitore, è il protagonista principale di ogni gradino della piramide, mettendo le basi per l’adulto che verrà.

Il genitore che saremo in grado di essere non è altro che la copia del modello di genitore che abbiamo costruito dentro di noi e da qui dipendono 3 fondamentali vasi definiti vasi dell’amore, poiché l’amore è la struttura che inizia a riempire questi tre vasi appena il piccolo nasce. 

-1 ti vedo (tu esisti, mi accorgo che ci sei, che la mia vita con te è cambiata, sei importante, ti riconosco).

– 2 ti accolgo (ti com- prendo, accolgo ogni tua manifestazione, la accetto così com’è. Accetto la tua paura, la tua tristezza, non mi oppongo a questo tuo sentimento, altrimenti, se non accetto la tua frustrazione, quando sarai grande non la accetterai neppure tu. 

A questo punto il bambino assorbe dentro di sé l’adulto, e da grande quando gli accadrà qualcosa, egli diventerà come la mamma che non accettava quella sfumatura di lui da piccolo. Quella parte giudicata brutta sarà la lente con cui egli vedrà il mondo, e si tenderà a respingere questa parte, rifiutarla. 

Il piccolo inizia a costruire subito il suo genitore interno che fungerà da giudice che non solo auto-giudicherà le esperienze ma sarà anche auto-giudicante a sua volta.

Quando ci sentiamo accolti invece, impariamo a fare il processo di liberazione da uno stato difficile, in modo autonomo, perché lo sguardo di nostra madre che ci portiamo dentro, accetta l’esperienza. 

-3 ti sostengo (feedback positivo nel momento in cui il bambino esplora, si traduce in messaggio funzionale alla vita, al crescere e scoprire).

Ecco che in questa epoca in cui i bisogni primari sono soddisfatti, viene a sorgere un nuovo bisogno della piramide di Maslow: l’ascolto, il dialogo.
Questo può sviluppare intelligenza, laddove la parola intelligente, riesuma il suo autentico significato: da 2 parole latine intus e legere, ossia leggere dentro.

L’essere umano intelligente è colui che sa guardare dentro le cose, persone, fatti. Poco c’entra con il Q.I. In questa società in cui tutto è veloce, possiamo conversare con tutti di tutto, quasi mai veniamo veramente ascoltati.

Viviamo nell’epoca dell’ascolto passivo: ossia ascoltare la voce dell’altro senza prestargli attenzione.

I ragazzi di adesso hanno scarsità di ascolto Viandante, quella comprensione profonda che chiedono e necessitano.
Genitori o educatori incapaci di questo ascolto diventano allora bancomat umani, o istruttori. Lontani dall’essere fari, modelli di riferimento con cui crescere. Vengono così a mancare le guide.
I ragazzi di adesso hanno bisogno di sviluppare la loro intelligenza in modo diverso. Essi sono orientati a bisogni molto elevati, verso il vertice della piramide, hanno bisogno di decodificare ciò che provano.

I nuovi nati tendono ad avere un nervo scoperto quando si parla di dare loro delle regole, per cui, se non sentono comprensione, ma autorità, se non sentono autorevolezza, li perderemo.

Lo psicologo Goleman dimostra come l’intelligenza emotiva sia alla base dell’educazione di un adulto equilibrato.

Esistono intelligenze diverse dal mero Q.I e vanno nutrite fin da quando il bambino è piccolo, aiutandolo a dare un nome alle proprie emozioni. Se ciò non avviene avremmo un adulto immaturo.
I professori Salovey e Mayer definiscono l’intelligenza emotiva, come l’abilità del percepire e promuovere la crescita emotiva e intellettuale, e questo si traduce in comportamenti emozionalmente intelligenti. 

I componenti dell’intelligenza emotiva sono:

1- conoscenza delle proprie emozioni
(auto-consapevolezza) facilita la presa di decisioni personali importanti.

2- Il controllo delle emozioni (sentimenti appropriati)

3- la motivazione di se stessi  (dominare le emozioni e raggiungere un dato obiettivo)

4- riconoscimento delle emozioni altrui (empatia)

5- gestione delle relazioni (abilità che va ad aumentare la capacità d essere leadership ).

Comprendere questo ci aiuterà a dare le regole comprendendo con empatia e conoscenza emozionale l’essere che si ha difronte. 

La sfida genitoriale ed educativa è quindi imparare a mutare come l’essere muta.
Per ogni sfida che il bambino, il ragazzo lancia, dovrebbe esserci l’adulto che la raccoglierà. 

Un altro punto dolente per l’adulto è rappresentato dal riuscire a scrollarsi di dosso la sindrome del bambino della notte: il figlio crescendo (specie per la madre), perde l’immagine illusoria che i genitori si erano creati (aspettative).
Ecco che i desideri e le aspettative di ciò che egli avrebbe potuto diventare, va in frantumi. Questo processo è definito “il bambino della notte” (sogno che si ha di lui).
Spesso questo processo viene vissuto come un lutto, contattando vuoto e mortificazione, e verrà vissuto in modo tanto intenso e doloroso, tanto più i genitori avranno investito sulla relazione. 

L’identità dei coniugi può essersi fusa dentro ai ruoli, mischiata al progetto filiale, perdendosi dentro la maschera, l’etichetta, fintanto che il figlio consegna le dimissioni!
È questo il momento in cui potrebbe essere utile una intercapedine in cui i genitori possano ridefinire se stessi.

Concludendo questa riflessione a voce alta, caro Viandante, credo che la funzione massima per una coppia, per un educatore sia quella di fungere da piattaforma di lancio per il ragazzo, sufficientemente stabile per permettergli il decollo, abbastanza sicura nel tempo, per poterci atterrare. 

Un figlio ha bisogno di sentire che potrà tornare, senza sentirsi in colpa per essere andato via.

Che Buon Ti faccia Viandante.

Monia